Una delle pratiche sicuramente invalse, nel settore sportivo e non, è quella di accaparrarsi nuovi utenti attraverso l’attività pubblicitaria e finanziare magari delle iniziative tramite degli sponsor.
Quello che vogliamo fare è affrontare questo discorso sottolineandone gli aspetti legali e fiscali, al fine di permettervi di evitare il compimento di irregolarità o peggio atti illeciti sotto il profilo tributario.
In primis, è necessariodistinguere la pubblicità dalla sponsorizzazione.
Dunque, per quanto riguarda la pubblicizzazione bisogna operare un’ulteriore ripartizione tra quella fatta per promozionare la propria attività e quella per promuovere terzi. In riferimento al primo caso, le correnti di pensiero sono sostanzialmente due una restrittiva ed una permissiva:
- Interpretazione restrittiva: le A.S.D. e le S.S.D. non possono fare pubblicità, giacché ciò costituirebbe sinonimo di attività commerciale;
- Interpretazione permissiva: se è vero che le A.S.D. e le S.S.D. hanno tra le proprie finalità proprio la promozione sportiva, allora possono provvedere alla sua divulgazione anche attraverso la pubblicità.
A sostegno della seconda interpretazione è una recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale di Torino (n. 806/14), con la quale si sottolinea come non sia chiaro su quali basi normative l’Agenzia dell’Entrate ritenga vietato fare pubblicità da parte dell’Associazione Sportiva Dilettantistica per l’ampliamento della base dei partecipanti. Ad ogni modo, riteniamo che sia importante evidenziare, ad esempio su di una locandina, la ragione sociale completa, meglio per esteso, l’Associazione/Società Sportiva Dilettantistica perché questa non è un appellativo ma parte integrante della vostra denominazione (Art. 90 comma 17 della Legge n. 289/2002).
Un divieto effettivamente lo troviamo in merito alla pubblicità del punto ristoro, quando questo è gestito come circolo. E qui vi è una logica della norma in quanto se, una A.S.D. all’interno della propria sede (in uno spazio non aperto al pubblico e senza accesso diretto dalla pubblica via, in conformità con il DM 17/12-1992, n. 564, come modificato dal DM 5/8-1994, n. 534), svolge una attività di somministrazione e/o vendita di alimenti e bevande ai soli soci, non può rivolgersi per questa attività al pubblico esterno. Infatti, non possono essere apposte insegne, targhe o altre indicazioni che pubblicizzano in qualsiasi forma le attività di somministrazione esercitate all’interno.
Richiamando il caso in cui l’Associazione voglia promuovere terzi, bisogna considerare che ciò può ritenersi concesso unicamente a condizione che ciò che si promuove sia un’iniziativa senza alcun scopo lucrativo e ovviamente per la promozione non sia stato incassato nulla tale che, laddove ciò avvenisse si configurerebbe un vero e proprio contratto non formale a prestazioni corrispettive.
Passando alla trattazione del tema degli sponsor, bisogna partire dall’assunto che nei passati due decenni tale attività è stata anche oggetto di veri e propri abusi da parte di imprese e persone fisiche che “facendo carte false” ne sfruttavano la deducibilità fiscale.
L’evoluzione giurisprudenziale sul tema è stata costante. Con la sentenza n. 969/2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha asserito che il valore dei contratti di sponsorizzazione sportiva stipulati da un’Associazione Sportiva Dilettantistica che violano il principio dell’inerenza, risulta essere indeducibile dai componenti del reddito d’impresa. A far chiarezza sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 5720/2016 ha sancito che costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate “per iniziative volte ad accrescere ilprestigioe l’immaginedell’azienda ed a potenziarne le possibilità di sviluppo; mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per realizzare iniziative tendentiprevalentemente anche se non esclusivamente, allapubblicizzazionedi prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta”.
Le spese di sponsorizzazione, essendo finalizzate all’ottenimento di un ritorno economico in capo allo sponsor, richiedono l’esistenza di un nesso inferenziale tra l’attività svolta dal soggetto sponsorizzato e la società che eroga le somme; in assenza del descritto nesso inferenziale, la spesa sostenuta non può qualificarsi come spesa di pubblicità, bensì di rappresentanza, e come tali soggette alle limitazioni di deducibilità (Cass. n. 3433/2012).
Per la dottrina l’articolo 90, comma 8, introduce una esimente alla normativa ed alla giurisprudenza richiamata. Nello specifico, la Suprema Corte conclude che è proprio il comma 8 dell’articolo 90 a qualificare ex lege tali spese come pubblicitarie, se a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello stesso sponsor, d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo di gioco, ecc.).