L’articolo 2 della Legge n. 266/91 (Legge quadro sul Volontariato) “inquadra” la figura del volontario e definisce le modalità con cui deve essere prestata la sua opera. Il primo comma dell’art. 2 stabilisce, infatti, che l’attività è prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.
Il terzo comma del medesimo articolo statuisce l’incompatibilità dell’opera fornita in modo volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo, nonché con ogni altro rapporto patrimoniale con l’Organizzazione di cui si fa parte.
Il volontariato, per espressa previsione della Legge, non può essere retribuito nemmeno dai beneficiari delle prestazioni che, dunque, non sono soggette alle normative di carattere fiscale, previdenziale e assistenziale applicabili ai rapporti di lavoro subordinato od autonomo.
Il 23 novembre scorso, la Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 23890, ha stabilito l’illegittimità dei rimborsi erogati con criteri forfettari, da parte delle associazioni nei confronti dei propri associati.
L’adozione di siffatto provvedimento mira a garantire che i rimborsi si riferiscano a spese effettivamente sostenute che non mascherino l’erogazione di compensi e, dunque, la sussistenza di un rapporto di lavoro. L’Ordinanza fa esplicito riferimento alla legge 266/1991 che, alla luce della dell’interpretazione della Suprema Corte, esclude tout court che una associazione possa remunerare i propri volontari per l’attività resa in proprio favore, ammettendo esclusivamente la possibilità di rimborsare loro le spese analiticamente (e non forfetariamente) sostenute.